(18) Segue: Le prospettive…

Ebbene si, voglio riprendere le mie riflessioni per verificare se, scrivendole, lo sconcerto rabbioso che avverto si attenua.

 

Al riguardo, mi focalizzerò su due aspetti, uno di portata globale e l’altro nazionale, per valutare la sensibilità operativa dei nostri Governanti rispetto ai citati eventi.

Il primo, ovviamente, concerne la moneta cinese, la cui reiterata svalutazione ha creato panico e subbuglio sulle piazze finanziarie mondiali; il secondo riguarda gli avvenimenti che influiscono direttamente ed indirettamente sul nostro Paese.

La svalutazione dello Yuan ha comportato dal primo momento una mobilitazione di penne degli analisti e degli opinionisti mondiali, che hanno cercato di dare all’evento una motivazione.

Molti hanno giustificato l’iniziativa con il raffreddamento dell’economia cinese, con una crescita scesa al 7% e tutti gli indicatori dal PIL ai dati delle esportazioni ed importazioni in regresso. Quindi, una svalutazione per far riprendere competitività alle esportazioni e, più in generale, a sostenere i parametri che avevano contribuito all’affermazione della Cina come potenza economica di prima grandezza, con margini di crescita ignoti al resto del mondo.

L’effetto, inevitabilmente globale, della decisione assunta dall’Autorità monetaria cinese si è riverberato sui mercati finanziari con vistosi crolli nelle borse di tutto il mondo. Le banche centrali, compresa la cinese, hanno “iniettato” liquidità ed hanno sospeso gli annunciati aumenti dei tassi con effetti difensivi per il sistema bancario, ma non sulle borse. I listini hanno seguitato a segnare perdite per circa due settimane e le analisi si sono concentrate  sull’economia cinese, ovviamente, sulla precarietà della situazione greca, nonché su altri paesi giudicati in precarie condizioni tra cui primeggia l’Italia.

Vorrei, a questo punto, riflettere sulla Cina, confessando che non sono aggiornato attraverso informazioni dirette e, quindi, che mi baso su interpretazioni di quel che leggo e di quanto ricordo. La Repubblica Cinese è una potenza, alla quale ho sempre attribuito una forza speciale a causa del suo enorme mercato interno.

Questo mio convincimento, però, sembra contraddetto dai provvedimenti che spingono al rilancio attraverso l’export. Ne prendo atto, ma cerco di capire il senso dell’espressione “bolla”, attribuito dagli analisti più accreditati al mercato immobiliare e mobiliare cinese. Evidentemente una migrazione importante dalle campagne alle città ha indotto la crescita dell’edilizia residenziale, i cui prezzi sono risultati in progressione non compatibili con le capacità di spendita delle classi che erano venuti a cercare benessere nelle metropoli. Le società quotate, con progetti in crescita a due cifre costanti, hanno richiamato investitori stranieri che oggi sono in fuga sgonfiando la cosiddetta bolla, generata da attività finalizzate a beni strumentali e di consumo, che i mercati sia interno che esterno, non hanno più domandato nelle quantità previste.

La manovra competitiva sulla valuta ha prodotto, da un lato, l’evidenza della bolla e, dall’altro, il crollo dei prezzi che la determinavano. Ciò ha indotto molti analisti a ritenere i cali borsistici e del mercato immobiliare un ritorno a dimensioni coerenti con l’equilibrio tra domanda ed offerta e, quindi, alla fisiologia rispetto alla patologia caratterizzata dai valori precedenti.

Prendo atto anche di questa opinione, ma mi domando se l’operazione monetaria non sia figlia di altre valutazioni. La prima è quella di dimostrare il peso dello Yuan nel contesto monetario mondiale, per accreditare l’esigenza di un suo rilievo quale moneta di riferimento, se non alternativa almeno condizionante del dollaro USA.

Ho sostenuto tale esigenza in un mio scritto del 2010, nel quale ho azzardato una nuova struttura del sistema valutario mondiale (C. Bianchi, Strutture Aziendali nel mercato globalizzato, Esculapio, Bologna, pag. 182 e segg.).

Nel contesto socio-economico cinese, sul quale, come ho detto, non ho aggiornamenti diretti, l’operazione, come ipotizzato, avrebbe senso per accrescere il potere della classe politica dirigente, alle prese con un latente pericolo di forti contrasti sociali.

L’arrembante crescita economica degli ultimi sette/otto anni ha generato una classe «borghese» ricca, molto ricca, rispetto ad una estesissima massa di individui sulla soglia della povertà, e cioè ancora non lontana dalla «ciotola di riso» di cui alla politica di Mao. La ricerca del benessere attraverso l’abbandono delle campagne e delle colture ad essa legate, per cercare l’eldorado nelle città contaminate dall’industrializzazione, può avere indotto, perciò, due aspetti negativi: la contrazione del mercato interno ed il germe del conflitto sociale.

Questi sono, a mio sommesso parere, i pericoli che sovrastano l’economia cinese, che dovrà essere sostenuta da una politica sociale che, rialzando i salari, dia tono al vastissimo mercato interno e plachi i contrasti tra classi, piuttosto «anomali», almeno concettualmente, per un Paese a “socialismo reale”.

Il pericolo dell’urbanesimo spinto ha creato danni in molti paesi occidentali, tra cui il nostro, che può essere additato, al riguardo, come un campione negativo.

Vengo, così, a riflettere sull’Italia , la cui borsa ha subito, come le altre del resto, i riflessi negativi delle scelte di politica monetaria cinese.

L’informazione di genesi governativa è che non c’è alcun timore per i nostri fondamentali, che sono ben saldi, mentre i centri di potere anche comunitari dicono che ci sono gravi rischi per i paesi «deboli», in particolare Grecia ed Italia.

Personalmente insisto sulla tesi che la speculazione, attivissima da un ventennio, si è accuratamente inserita nel contesto attuale vendendo in anticipo e comprando agli attuali valori depressi, innescando quella che sarà presto letta come ripresa dei mercati.

L’attenzione governativa appare, comunque, rivolta altrove. Si preannunciano abolizioni di imposte, quelle sulla prima casa ad esempio, e si cercano le coperture, con tagli sulla spesa e tiepide richieste di sforare il pareggio di bilancio.

Mai un programma organico a medio/lungo termine che guardi con obiettività ad un Paese che sta sprofondando.

Ho usato altre volte questa espressione, ma ora la realtà ad essa sottostante è sotto gli occhi di tutti. Sarà pure colpa di un andamento climatico anomalo, ma che siano sommerse dall’acqua città capoluoghi di regioni e province, oltre a località meno note ma altrettanto importanti per il tessuto socio-economico del Paese, è un dato di fatto. È da sottolineare, al riguardo, come siano brutalmente interrotte nelle trasmissioni video le esternazioni di cittadini che denunciano mancanza di drenaggio di fiumi e torrenti, costruzioni autorizzate sui letti degli stessi o, in generale, dove i rischi erano conclamati.

Provvedere a posteriore è, ovviamente, una necessità anche se, troppo spesso costosa e non risolutiva, prevenire è, invece, un dovere, ma occorre farlo in chiave programmatica, valutando, come ormai ripeto da anni, costi e fonti di finanziamento.

Questo percorso, peraltro, se ben pianificato potrebbe anche essere il viatico per spazzare la corruzione che ci sovrasta. A proposito, il nostro Premier è andato alla kermesse di Comunione e Liberazione a Rimini ed ha affrontato temi sociali, peccato che abbia dimenticato di sottolineare che la corruzione si batte recuperando quei valori morali che, se non sono scomparsi del tutto, sono certamente affievoliti a partire dall’educazione e dall’esempio familiare.

Non posso, infine, ignorare le diatribe Governo/CEI sul tema migranti. L’Italia non è più la sola porta per la fuga da paesi martoriati da guerre infinite, innescate da politiche occidentali miopi i cui effetti ora non sanno come gestire gli stessi iniziatori di quei conflitti.

Rimane, però, la porta più facile e perciò ambita.

Accogliere è un dovere, ma occorre pensare a dopo il momento dell’accoglienza e qui l’Italia non è riuscita a fare proposte concrete a chi non vuole ascoltare in Europa, ma che deve essere a forza chiamato ad ascoltare indicazioni ultimative.

Ma siamo deboli, malgrado la negazione governativa di ciò che rievoca nefasti periodi della “storia patria”.

Eppure c’è chi sostiene, comprando pagine di quotidiani a vasta diffusione, che il Governo in carica è il migliore della storia della Repubblica per quanto fa, rispetto a quanto promette!

Se è così, evidentemente le riflessioni che faccio sono frutto della mia incapacità di comprendere, ma se non è così e c’è condivisione in esse, beh, possiamo sempre pensare di comprare pagine a pagamento per esprimere il dissenso, se è ancora permesso.

Claudio Bianchi