LA LEGGE SULL’EQUO COMPENSO

La normativa

È stata approvata definitivamente alla Camera, circa un mese fa, la proposta di legge sull’equo compenso. L’intento della legge è quello di assicurare al professionista un compenso adeguato e commisurato al valore della prestazione effettuata e rinvigorire la sua tutela nel rapporto contrattuale con specifici committenti, ritenuti “contraenti forti”.

L’equo compenso è definito dall’articolo 1 della nuova legge come la “corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale”.

Sino ad oggi, soltanto la categoria professionale degli avvocati può contare su una revisione della normativa sui compensi (D.M. n. 147/2022); mentre, per gli altri professionisti iscritti ad ordini e collegi, i valori di riferimento sono ancora quelli stabiliti dal Decreto ministeriale n. 140/2012, risalenti a più di dieci anni fa, ancora “ignari” della perdita del potere d’acquisto dovuto alla pandemia, alla guerra russo-ucraina e alla dilagante inflazione.

La normativa sull’equo compenso trova applicazione nei rapporti professionali che hanno ad oggetto la prestazione d’opera intellettuale (art. 2230 c.c.), regolata da convenzioni e relativa allo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività professionali rese in favore di:

  1. Imprese bancarie assicurative e loro controllate;
  2. Imprese con più di 50 lavoratori;
  3. Imprese con ricavi annui superiori a 10 milioni di Euro;
  4. Pubblica amministrazione e società a partecipazione pubblica.

La legge si applica a tutti i professionisti, sia quelli iscritti a un Ordine, che quelli appartenenti alle professioni non regolamentate (tra questi, ad esempio, gli amministratori di condominio, i tributaristi e i revisori legali). I professionisti iscritti a un Ordine per determinare il compenso equo faranno riferimento ai parametri indicati nei decreti ministeriali per ogni singola categoria. Per le professioni non ordinistiche dovrà essere adottato entro 60 giorni un apposito decreto dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Sono escluse dall’ambito di applicazione della nuova disciplina le prestazioni espletate in favore di società veicolo di cartolarizzazione e quelle in favore di agenti della riscossione.

Clausole e pattuizioni nulle

È prevista la nullità delle clausole che compromettono l’equità del compenso. Tra le altre, sono nulle:

  1. Le clausole delle convenzioni che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, tenendo conto anche dei costi sostenuti dal prestatore d’opera;
  2. Le pattuizioni di compensi inferiori a quelli stabiliti dai parametri di liquidazione dei compensi previsti con decreto ministeriale (avvocati, professioni ordinistiche, professioni non ordinistiche).
  3. Le pattuizioni che vietino al professionista di pretendere acconti nel corso della prestazione o che impongano anticipazione di spese, o che attribuiscano al committente vantaggi sproporzionati rispetto alla quantità e qualità del lavoro svolto o del servizio reso.

In ogni caso, la nullità delle singole clausole non comporta la nullità dell’intero contratto, destinato a rimanere valido per tutto il resto delle pattuizioni.

Azione giudiziaria del professionista

L’azione a tutela del professionista potrà essere intentata davanti al Tribunale del luogo di sua residenza o domicilio, impugnando la convenzione, il contratto, l’esito della gara, l’affidamento, la predisposizione di un elenco di fiduciari o qualsiasi altro accordo che preveda un compenso inferiore ai valori determinati. La domanda sarà finalizzata a far valere la nullità della pattuizione e la richiesta di rideterminazione giudiziaria del compenso per l’attività professionale prestata. Il giudice, rilevato il carattere iniquo del compenso, provvederà a rideterminarlo, condannando il committente al pagamento della differenza tra quanto versato e l’equo compenso.

Indennizzo a favore del professionista

Oltre a rideterminare il compenso e condannare il cliente al pagamento della differenza tra equo compenso e quanto versato, Il magistrato potrà condannare il cliente, altresì, all’esborso di un indennizzo al professionista fino al doppio della differenza, salvo il diritto al risarcimento del maggior danno.

Sanzioni da parte degli ordini professionali

Scopo della legge sull’equo compenso, non è solo quello di fornire uno strumento di tutela al professionista contro i “grandi” committenti, ma anche quello di impedire pratiche di concorrenza sleale tra colleghi, che, ribassando oltremodo i compensi, “sviliscono” il valore della prestazione professionale. Agli Ordini e ai Collegi sarà affidato, dunque, il compito di introdurre norme deontologiche per sanzionare l’iscritto che viola le regole sull’equo compenso.

Class action

La nuova disciplina consente, per di più, la class action a difesa dei diritti individuali omogenei dei professionisti, secondo le forme disciplinate dal titolo VIII bis del libro quarto del Codice di procedura civile. Ferma restando la legittimazione del singolo professionista, l’azione di classe può essere promossa dal Consiglio nazionale del relativo ordine professionale o dalle associazioni maggiormente rappresentative.

L’Osservatorio nazionale

Infine, per vigilare sul rispetto delle disposizioni, è istituito, presso il ministero della Giustizia, l’Osservatorio nazionale sull’equo compenso. L’Osservatorio, presieduto dal Ministro della Giustizia, si compone di un rappresentante nominato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali; di un rappresentante per ciascuno dei Consigli nazionali degli ordini professionali e di cinque rappresentanti, individuati dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, per le associazioni di professionisti non iscritti a ordini e collegi. L’Osservatorio, i cui componenti restano in carica tre anni, può formulare pareri e proposte su parametri e convenzioni e segnalare al Ministero della Giustizia comportamenti in contrasto con le disposizioni sull’equo compenso. L’Osservatorio, ogni anno, redige una relazione sulla propria attività di vigilanza.

Qualche considerazione

La nuova legge sull’equo compenso, pubblicata il 5 maggio in Gazzetta Ufficiale, suscita alcune riflessioni.

Riusciranno le società ad osservare i parametri stabiliti dal D.M. 140/2012 (che comunque dovranno essere aggiornati)? Vi sono, infatti, società che presentano valori dell’attivo di milioni, se non miliardi di euro e componenti positivi di reddito lordi di importi milionari. Aziende che non potranno risparmiare né risparmiarsi quando si tratterà di liquidare i compensi ad amministratori, revisori e sindaci. V’è il rischio che imprese con più di 50 dipendenti o ricavi superiori ai 10 milioni, nonché banche e società a partecipazione pubblica, cerchino di ridurre quanto più possibile il numero di componenti dei consigli di amministrazione e collegi sindacali, pur di risparmiare sui costi del loro mantenimento. La minore “rappresentanza” professionale potrebbe rendere la gestione e i controlli aziendali molto più complessi e rischiosi. In alternativa, le imprese potrebbero, ove possibile, affidarsi a soggetti non iscritti ad Albi, perché non figurerebbero quali professionisti o perché professionisti ormai in quiescenza. Questo sarebbe un ottimo escamotage per aggirare la normativa, peggiorando potenzialmente la qualità degli organi societari per mantenere i costi degli emolumenti.

Una seconda riflessione concerne, più specificatamente, le sanzioni previste per i professionisti stessi che non si attengano ai parametri dell’equo compenso. Ebbene, l’ordine professionale comminerà sanzioni ai suoi stessi iscritti che, magari, si “accontentano” di emolumenti più contenuti per agevolare le stesse imprese da cui vengono chiamati, che, non raramente, affrontano ancora le ripercussioni della pandemia, della guerra russo-ucraina e dell’incontenibile inflazione. A tutela del diritto all’equo compenso, viene introdotta la possibilità di invocare il parere di congruità dell’ordine o collegio professionale (art.7), senza intentare un’azione giudiziaria; in alternativa, si possono adire le vie legali, con la condanna del cliente alla corresponsione del dovuto ed, eventualmente, al pagamento dell’indennizzo. È anche vero che alcuni professionisti, però, siano ben disposti ad accettare compensi inferiori a quelli previsti dal D.M. 140/2012, pur di lavorare, e, più o meno consapevolmente, facciano concorrenza sleale ai colleghi “più cari”. In quest’ultimo caso, quindi, le disposizioni sancite dalla legge n.49/2023, che entrerà in vigore dal prossimo 20 maggio, difenderebbero semplicemente i professionisti più costosi o quelli più qualificati, che pretendono, giustamente, compensi commisurati alla loro esperienza?

Non bisogna, tuttavia, dimenticare che incarichi di amministrazione e controllo richiedono, oltre a professionalità ed anni di esperienza, impegno e attenzione costante alle dinamiche strategiche aziendali, reddituali e finanziarie, alla valutazione aziendale e del rischio di impresa. La responsabilità dei professionisti coinvolti in tali incarichi non può essere coperta dalle sole polizze professionali, poiché, nei casi più gravi, assurge a rilievo penale, con imputazione dei medesimi per reati societari, fallimentari, tributari. È proprio qui che la disciplina sull’equo compenso trova la sua massima ragione di esistenza; perché, nonostante le retribuzioni di amministratori, sindaci, revisori e curatori possano sembrare esose, in realtà, sarebbero soltanto quelle più adeguate a remunerare lavoratori che non solo comportano grande impegno, ma anche grandi rischi.

Il Governo, auspicabilmente varerà decreti che prevedano criteri di determinazione e griglie più praticabili, che consentiranno il rispetto dell’equo compenso senza il rischio di esagerazioni improponibili ed inaccettabili. In tal caso, il professionista non si troverebbe più tra “due fuochi” rappresentati dalla società, da cui viene assunto e sottopagato, e l’ordine professionale, pronto a sanzionarlo se accetta corrispettivi più parsimoniosi.