Segue: Le prospettive…

Segue: Le prospettive…

Giugno e luglio sono ormai trascorsi ed anche agosto si avvia alla conclusione. 

Io ho seguitato a riflettere sugli aspetti economico-sociali, per verificare se il pessimismo che avevo espresso nelle precedenti considerazioni afferenti i primi cinque mesi dell’anno in corso poteva/doveva essere mutato.

Al riguardo, mi sembra utile riflettere sulle seguenti due notizie apparse nella prima pagina de “Il Messaggero” del 20 agosto:

 

a)      «Vicini all’uscita dalla crisi». Monti al meeting di CL: i giovani stanno pagando troppo.

b)      «Si diede fuoco: muore disoccupato».

 

Quindi il “premier” va al meeting di Comunione e Liberazione e lancia un grido rassicurante sulla prossimità dell’uscita dalla crisi, ma prende atto che i giovani stanno pagando troppo!

 

La seconda notizia contraddice la parte ottimistica della prima, poiché esprime l’allungarsi di quella catena di suicidi che caratterizza il solco più doloroso dell’evoluzione della crisi, come avevo osservato nelle mie precedenti riflessioni.

Mi sembra, infatti, di poter cogliere ancora una volta la marcata scollatura tra la visione governativa e la realtà della vita quotidiana, rappresentata da chi ha il problema di cucire «il pranzo con la cena», come recita un vecchio adagio.

Peraltro, anche lo studioso è sconcertato dalle ricorrenti, contraddittorie affermazioni sul caso Italia: brava ad adottare le misure di rientro del debito, ma deve fare di più; no, anzi, è bene che si prenoti per gli aiuti europei!

Il Presidente del Consiglio seguita ad “accumulare miglia”, volando continuamente da una capitale all’altra per avere incontri, che la stampa nazionale esalta per i risultati di cui sarebbero forieri.

In verità i dubbi su quanto si afferma “in quota” e quanto si constata a terra, rispetto alla valutazione della situazione in cui si dibattono non solo i giovani, evocati per la platea del meeting riminese, ma tutta la popolazione che deve misurarsi, come sopra ricordavo, con il problema della diminuzione delle proprie entrate rispetto al costo per il proprio sostentamento, costo accertato in continuo, costante aumento: permangono tutti.

Non è certo un sofisticato teorema quello che condiziona la rimozione di una profonda situazione recessiva all’avvio di una efficace ricerca ed attivazione dei centri nevralgici sui quali agire per innescare una fase di ripresa.

La predetta azione, infatti, si innesta investendo nei gangli vitali per la ripresa, tenendo obiettivamente conto che ogni investimento comporta un fabbisogno finanziario che va coperto.

In questo dilemma mi pare sia imbrigliato l’attuale Governo, il quale fa dichiarazioni e pubblica anche decreti sullo sviluppo, la cui genericità cozza grassamente con i principi economico-contabili della programmazione. Probabilmente, ciò dipende dal blocco derivante dall’impegno di «mettere i conti in ordine», riducendo il debito pubblico.

Aspetto commendevole, ma se ci si muove per raggiungerlo operando solo sul versante del “taglio della spesa” ci si avvita nella spirale recessiva che constatiamo.

Inasprimenti delle accise, piuttosto che delle entrate collegate al tabacco o al giuoco per finanziare una specifica opera autostradale, non rappresentano una modalità per affrontare un problema grave come quello in cui ci si dibatte, il quale va ben al di là degli aspetti rilevati da spread o andamenti borsistici.

In merito a questi ultimi, fa sorridere la continua “produzione” di ragioni che determinano la volatilità dei mercati, giacché questi ultimi sono in mano alla più generalizzata speculazione da circa un ventennio, che ha estromesso il cassettista ed ora si muove con più elevate ambizioni verso la conquista di pezzi della migliore produzione di un paese e l’Italia comincia ad essere un preoccupante emblema di ciò.

L’inserimento nell’agenda governativa della cessione di beni pubblici per finanziare la ripresa, è, a mio giudizio, un’iniziativa molto pericolosa, perché i “gioielli di famiglia” vanno sacrificati non per finanziare l’episodicità o peggio ancora ridurre un debito corrente che si rialimenta in assenza di organicità nei provvedimenti per innescare quello che Keynes chiamava il «meccanismo virtuoso».

Il ritardo nell’affrontare a vasto spettro e sulla scorta di un programma completo il problema economico, può, purtroppo, determinare una incandescente situazione sociale, il cui sbocco potrebbe essere più imprevedibilmente drammatico di quello già constatato con la catena di suicidi in varie occasioni ricordati.

Tale rischio sembra avvertito dai sindacati e dalle forze politiche, le quali, però, confermano, sia pure con dei “distinguo”, la fiducia all’azione governativa in una prospettiva che appare più preoccupata dei seggi in Parlamento che della ricerca di una soluzione la cui difficoltà è destinata ad accrescersi con il passare del tempo.

Il dubbio è avvalorato dalla preoccupazione primaria delle forze politiche di riformare la legge elettorale, tema caro anche alla Presidenza della Repubblica, ma insipido per chi sta boccheggiando per l’effetto individuale di una recessione nazionale e non solo.

Classe politica ormai logora, nel suo avvilupparsi tra un passato ormai improbabile ed un futuro che non appare in grado di gestire?!

Ma ecco che a luglio irrompe il grido del prof. Oscar Giannino e dei suoi pluridecorati sodali: «cambiare la politica, fermare il declino, tornare a crescere». Le dieci proposte per attuare l’affascinante invocazione al cambiamento sono le seguenti:

 

1)      Ridurre l’ammontare del debito pubblico. 

2)      Ridurre la spesa pubblica di almeno 6 punti percentuali del PIL nell’arco di 5 anni

3)      Ridurre la pressione fiscale complessiva di almeno 5 punti in 5 anni.

4)      Liberalizzare rapidamente i settori ancora non pienamente concorrenziali.

5)      Sostenere i livelli di reddito di chi momentaneamente perde il lavoro anziché tutelare il posto di lavoro esistente o le imprese inefficienti

6)      Adottare immediatamente una legislazione organica sui conflitti d’interesse

7)      Far funzionare la giustizia.

8)      Liberare le potenzialità di crescita, lavoro e creatività dei giovani e delle donne.

9)      Ridare alla scuola e all’università il ruolo, perso da tempo, di volani dell’emancipazione socio-economica delle nuove generazioni

10)  Introdurre il vero federalismo con l’attribuzione di ruoli chiari e coerenti ai diversi livelli di governo.

 

A dir la verità, i predetti punti non sembrano esprimere novità rispetto a quanto ripetuto da decenni nelle campagne elettorali.

Forse l’aver posto delle indicazioni temporali rispetto agli obiettivi può essere considerato un passo avanti. Peraltro, le proposte sopra trascritte sono accompagnate da sintetiche esplicazioni che è doveroso riprodurre per completezza di informazione:

 

  • 1) Ridurre l’ammontare del debito pubblico. è possibile scendere rapidamente sotto la soglia simbolica del 100% del PIL anche attraverso alienazioni del patrimonio pubblico, composto sia da immobili non vincolati sia da imprese o quote di esse.
  • 2) Ridurre la spesa pubblica di almeno 6 punti percentuali del PIL nell’arco di 5 anni. La spending review deve costituire il primo passo di un ripensamento complessivo della spesa, a partire dai costi della casta politico-burocratica e dai sussidi alle imprese (inclusi gli organi di informazione). Ripensare in modo organico le grandi voci di spesa, quali sanità e istruzione, introducendo meccanismi competitivi all’interno di quei settori. Riformare il sistema pensionistico per garantire vera equità inter-e intra-generazionale.
  • 3) Ridurre la pressione fiscale complessiva di almeno 5 punti in 5 anni, dando la priorità alla riduzione delle imposte sul reddito da lavoro e d’impresa. Semplificare il sistema tributario e combattere l’evasione fiscale destinando il gettito alla riduzione delle imposte.
  • 4) Liberalizzare rapidamente i settori ancora non pienamente concorrenziali quali, a titolo di esempio: trasporti, energia, poste, telecomunicazioni, servizi professionali e banche (inclusi gli assetti proprietari). Privatizzare le imprese pubbliche con modalità e obiettivi pro-concorrenziali nei rispettivi settori. Inserire nella Costituzione il principio della concorrenza come metodo di funzionamento del sistema economico, contro privilegi e monopoli d’ogni sorta. Privatizzare la RAI, abolire canone e tetto pubblicitario, eliminare il duopolio imperfetto su cui il settore si regge favorendo la concorrenza. Affidare i servizi pubblici, incluso quello radiotelevisivo, tramite gara fra imprese concorrenti.
  • 5) Sostenere i livelli di reddito di chi momentaneamente perde il lavoro anziché tutelare il posto di lavoro esistente o le imprese inefficienti. Tutti i lavoratori, indipendentemente dalla dimensione dell’impresa in cui lavoravano, devono godere di un sussidio di disoccupazione e di strumenti di formazione che permettano e incentivino la ricerca di un nuovo posto di lavoro quando necessario, scoraggiando altresì la cultura della dipendenza dallo Stato. Il pubblico impiego deve essere governato dalle stesse norme che sovrintendono al lavoro privato introducendo maggiore flessibilità sia del rapporto di lavoro che in costanza del rapporto di lavoro.
  • 6) Adottare immediatamente una legislazione organica sui conflitti d’interesse. Imporre effettiva trasparenza e pubblica verificabilità dei redditi, patrimoni e interessi economici di tutti i funzionari pubblici e di tutte le cariche elettive. Instaurare meccanismi premianti per chi denuncia reati di corruzione. Vanno allontanati dalla gestione di enti pubblici e di imprese quotate gli amministratori che hanno subito condanne penali per reati economici o corruttivi.
  • 7) Far funzionare la giustizia. Riformare il codice di procedura e la carriera dei magistrati, con netta distinzione dei percorsi e avanzamento basato sulla performance; no agli avanzamenti di carriera dovuti alla sola anzianità. Introdurre e sviluppare forme di specializzazione che siano in grado di far crescere l’efficienza e la prevedibilità delle decisioni. Difendere l’indipendenza di tutta la magistratura, sia inquirente che giudicante. Assicurare la terzietà dei procedimenti disciplinari a carico dei magistrati. Gestione professionale dei tribunali generalizzando i modelli adottati in alcuni di essi. Assicurare la certezza della pena da scontare in un sistema carcerario umanizzato.
  • 8) Liberare le potenzialità di crescita, lavoro e creatività dei giovani e delle donne, oggi in gran parte esclusi dal mercato del lavoro e dagli ambiti più rilevanti del potere economico e politico. Non esiste una singola misura in grado di farci raggiungere questo obiettivo; occorre agire per eliminare il dualismo occupazionale, scoraggiare la discriminazione di età e sesso nel mondo del lavoro, offrire strumenti di assicurazione contro la disoccupazione, facilitare la creazione di nuove imprese, permettere effettiva mobilità meritocratica in ogni settore dell’economia e della società e, finalmente, rifondare il sistema educativo.
  • 9) Ridare alla scuola e all’università il ruolo, perso da tempo, di volani dell’emancipazione socio-economica delle nuove generazioni. Non si tratta di spendere di meno, occorre anzi trovare le risorse per spendere di più in educazione e ricerca. Però, prima di aggiungere benzina nel motore di una macchina che non funziona, occorre farla funzionare bene. Questo significa spendere meglio e più efficacemente le risorse già disponibili. Vanno pertanto introdotti cambiamenti sistemici: la concorrenza fra istituzioni scolastiche e la selezione meritocratica di docenti e studenti devono trasformarsi nelle linee guida di un rinnovato sistema educativo. Va abolito il valore legale del titolo di studio.
  • 10) Introdurre il vero federalismo con l’attribuzione di ruoli chiari e coerenti ai diversi livelli di governo. Un federalismo che assicuri ampia autonomia sia di spesa che di entrata agli enti locali rilevanti ma che, al tempo stesso, punisca in modo severo gli amministratori di quegli enti che non mantengono il pareggio di bilancio rendendoli responsabili, di fronte ai propri elettori, delle scelte compiute. Totale trasparenza dei bilanci delle pubbliche amministrazioni e delle società partecipate da enti pubblici con l’obbligo della loro pubblicazione sui rispettivi siti Internet. La stessa “questione meridionale” va affrontata in questo contesto, abbandonando la dannosa e fallimentare politica di sussidi seguita nell’ultimo mezzo secolo.

 

L’esplicitazione contenuta nelle note che precedono fornisce chiarimenti sul substrato della proposta. Questa, pur risultando una mera enunciazione, indica quali aspetti portanti:

 

a)      l’“alienazione del patrimonio pubblico”;

b)      l’“introduzione di meccanismi competitivi, all’interno di sanità ed istruzione”;

c)      la lotta all’«evasione fiscale»;

d)     la liberalizzazione di «settori ancora non pienamente concorrenziali»;

e)      l’impegno a «far funzionare la giustizia»;

f)       l’azione per «liberalizzare le potenzialità di crescita lavoro e creatività dei giovani e delle donne»

 

Vorrei provare a riflettere sui punti a), b), d) ed f) essendo c) ed e) “leit motive” dell’attuale come dei passati governi.

In ordine al primo punto, non posso che ribadire quanto già scritto a proposito dell’alienazione dei gioielli di famiglia, alla quale ricorre il “soggetto disperato”. Nel caso di specie la locuzione è generica e, quindi, si presta a multiformi interpretazioni, tra cui quella che l’obiettivo dell’incasso per il soggetto alienante sia rimandato nel tempo. È legittimo, infatti, ipotizzare che l’immobiliarista/costruttore sia disposto ad acquistare un’area già adibita a caserma, nella prospettiva industriale di demolire per realizzare, poi, un complesso immobiliare dotato di tutte le opere urbanistiche e, quindi, commerciabile a livello reddituale adeguato. Ma i costi necessari per conseguire tale obiettivo sono notevoli e l’operatore condizionerà l’acquisto ad una dilazione del pagamento correlata ai tempi in cui potrà conseguire il proprio obiettivo di redditività.

A chi giova in tale ipotesi l’operazione, a prescindere dai rischi connessi con il possibile peggioramento del tessuto urbanistico?

Non mi impegno nella risposta, se non per ribadire l’idea che la trasparenza dell’effetto di ogni enunciazione può essere apprezzata solo se collocata all’interno di un piano correttamente esposto nei suoi vari aspetti economici, finanziari, sociali.

Ciò vale come cartina di tornasole anche per i «meccanismi comparativi» di cui alla proposta b), perché, ferma la ragione dell’economicità (conseguimento dell’obiettivo al minimo costo relativo, e cioè senza sprechi), la comparazione non può prescindere dagli aspetti sociali che contraddistinguono insegnamento e sanità e che si estrinsecano, in concreto, nel diritto all’accesso allo studio ed alle prestazioni sanitarie indipendentemente dal censo.

Quanto alla liberalizzazione dei settori non pienamente concorrenziali, da antico studioso di economia delle imprese di pubblica utilità, sarei prudente nel demonizzare, in taluni settori, gli aspetti monopolistici, che, ovviamente, debbono essere regolamentati come avviene negli Stati Uniti d’America, baluardo del capitalismo mondiale.

Il punto f) è di grande fascino, ma la bella comunicazione rischia di esprimere un inganno.

Infatti, se la politica economica non traccia la linea di sviluppo su cui inserire e far prosperare le nuove iniziative, si rischia quanto già verifichiamo, e cioè attività, come la costruzione di siti internet, improntate senza un’adeguata preparazione scientifica, le quali, in breve, ripiegano su se stesse. Viene in mente, al riguardo, la “trovata” della società senza capitale, la cui  assenza altro non esprime se non l’acuirsi della patologica sottocapitalizzazione da tutti riconosciuta alle imprese italiane.

Voglio precisare che, tutto sommato, sono un ascoltatore del prof. Giannino, poiché se mi capita di essere in automobile tra le 9 e le 10 mi sintonizzo sempre sull’emittente de Il Sole 24 Ore, che nel predetto intervallo temporale manda in onda il programma “9 in punto, la versione di Oscar”. È così che mi è capitato di ascoltare la presentazione dell’«editto» di cui ho riferito, accompagnato da una notazione che ne confermava il gradimento da parte del movimento del dott. Montezemolo, con la precisazione della non partecipazione di quest’ultimo all’iniziativa!

Orbene, preso atto che, comunque, l’iniziativa è gradita ad un esponente di punta dei cosiddetti poteri forti, i quali hanno inciso sulle scelte di politica industriale del Paese, il rovello deriva dal fatto, ma potrei sbagliare, che al citato movimento del dott. Montezemolo ha dato la Sua convinta adesione l’attuale Presidente della Camera, il quale non mi pare possa additarsi tra i volti nuovi della politica, anche se ha dimostrato capacità camaleontiche non comuni.

La mia fiducia su di una autentica spinta al cambiamento è risposta su quel “non partito”, probabilmente di maggioranza relativa, costituito da chi non va a votare o depone nell’urna una scheda bianca o nulla.

È possibilissimo che, fuorviato da un convincimento personale, sia in errore nel ritenere coloro che hanno fatto la “scelta astensionistica” non inclini ad essere catturati da grida qualunquiste o, comunque, non suffragate da programmi veri su cose concrete. Se è così, è però necessario che -soprattutto le forze autenticamente giovani, vale a dire quelle che rifiutano la correlazione politica-potere-denaro – si impegnino per il cambiamento cominciando a riflettere per diventare portatori di valori atti ad ispirare un ruolo di governo, il quale, calato nella realtà dei bisogni concreti, delinei la politica economica indispensabile al Paese e la sappia rappresentare con autorevolezza all’Europa.

I gangli di tale politica debbono essere, a mio parere, quelli già espressi nelle mie precedenti considerazioni, ma a quelli occorre ora aggiungere l’irrinunciabile tema della riconversione dei lavoratori per istradarli verso i settori sostenuti dai programmi economici vocati al rilancio.

Questo aspetto è stato reso di attualità per affrontare la crisi del settore minerario e dell’alluminio in Sardegna, ma ho tanta paura che possa avere, in tempi più o meno lunghi, una deflagrazione se il Vertice FIAT dovesse decidere la progressiva chiusura degli stabilimenti in Italia.

A questo punto, sento il dovere di segnalare all’eventuale cortese lettore che quanto espongo mi colloca in splendido isolamento rispetto a chi conta, come dimostra la notizia riportata con grande enfasi dai media riguardante il leader di un partito sostenitore dell’attuale Governo, il quale ha tolto il proprio nome dal logo, sostituendolo con Italia, dopo di che si è fatto paladino di una riedizione dell’attuale Compagine Governativa anche dopo le elezioni della prossima primavera. La stretta di mano più convinta, sempre da quanto emerge dai media, l’ha accordata la ex presidente di Confindustria, la quale ha promesso che saranno in tanti!

Claudio Bianchi