(43) Segue: Le prospettive…

21.10.2019

Non posso fare a meno di riprendere la penna per fare qualche considerazione sulla manovra che, di fatto, apre al documento di programmazione economico-finanziaria.

Ogni esponente della maggioranza che sostiene il Governo, a partire dal Presidente del Consiglio e dal Ministro dell’Economia, hanno presentato il documento come lo strumento per il cambiamento di rotta, rispetto alle timide e conservative manovre del passato. Insomma, il Governo con la stessa si impegna al rilancio dell’economia, basandosi sulla ripresa dei consumi favorita dall’abbassamento delle imposte. Leggendo gli interventi previsti sembra effettivamente un «bengodi» con riduzione delle imposte dirette, il superamento del cuneo fiscale, gli aiuti alle famiglie e quant’altro.

Ma per chi sa fare di conto scatta una domanda: i fondi per fare tutto ciò dove si prendono. La risposta è nelle dichiarazioni degli esponenti governativi più accreditati: le coperture debbono venire dalla lotta all’evasione. Di questa lotta sento parlare da quando portavo i pantaloni corti ed oggi sono decenni che li ho smessi, ma ritengo che occorre sempre sforzarsi di capire prima di giudicare. Ho provato, perciò, ad analizzare i punti di forza di tale lotta:

il primo mi pare sia legato al restringimento dell’uso del contante, a favore della tracciabilità che si ha utilizzando carte di credito, bonifici e “similia”.

Tutti i titolari di carte di credito, bancomat e quant’altro, me compreso, prediligono pagare con tali mezzi piuttosto che in contanti, ma, anche a prescindere dall’intento evasivo, talvolta ciò non è possibile. Infatti, a mia conoscenza, non ci sono artigiani che vengono a fare lavori a domicilio muniti del “POS”, anche se hanno un blocchetto dal quale staccare la ricevuta fiscale al termine della prestazione. Quindi, se si decide di fare la lotta all’evasione con la moneta elettronica occorre, si, obbligare anche gli artigiani dell’esempio a munirsi del POS, ma è necessario tenerli indenni dal relativo aggravio di costi. Non mi intrattengo sulle ricadute nel caso ci siano aggravi perché mi sembrano intuitive, mentre vale la pena fare qualche «pensamento» sulla relazione detrazioni-evasione. Le prime, per evidenti ragioni di copertura sono praticamente azzerate nel provvedimento in questione, ma ciò potrebbe essere un incentivo all’evasione. Infatti, chi aveva il 19% di detraibilità delle spese mediche e si vede annullata la stessa, può essere indotto a dire al medico rinuncio alla ricevuta per il 20% di sconto sulla sua prestazione: contente tutte e due le parti, ma azzerato o ridotto quanto dovuto allo Stato, a seconda della forma di pagamento. Al di là di tali aspetti, che sono singolarmente marginali, è evidente che una manovra con una spendita di oltre 30 miliardi di euro non può essere finanziata con l’aspettativa delle maggiori entrate per la lotta all’evasione. È necessario, infatti, il contributo di nuovi balzelli e, per la parte residuale, il ricorso al credito. Il Ministro dell’Economia assicura che il debito non crescerà e, quindi, le risorse per coprire le promesse, se si intende realizzarle, dovranno essere ricercate in maggiori tasse, tassette e nel taglio di altre spese, strumenti tutti che non comportano piacere ai cittadini, ai quali con una mano si dà e con l’altra, direttamente o indirettamente, si toglie.

La considerazione che ne consegue è triste, poiché dà atto del prevalere di un micro interesse elettorale su di un macro interesse collettivo. Ci tengo a sottolineare che tale interessata miopia accomuna, attualmente, forze di Governo e di opposizione. Entrambe, infatti, ignorano la vera situazione del Paese e, conseguentemente, non propongono un programma concreto per arginarne il progressivo degrado, che è morale, sociale, culturale ed economico.

Quest’ultimo aspetto, per quanto possa apparire paradossale, è quello più facile da affrontare, basta, come ho ripetuto tante volte in queste mie riflessioni, avere il coraggio di porsi chiaramente l’obiettivo e, poi, costruire il piano per conseguirlo. Quindi, e mi ripeto, se il primo obiettivo è la salvaguardia delle nostre ricchezze naturali e culturali espresse da luoghi unici, questi vanno salvaguardati senza indugio, affinché nuove calamità naturali non le distruggano riducendoci ad un Paese senza “appeal”. Del resto, solo chi non vuole vedere non vede quanta arte ha distrutto il sisma che ha colpito le aree centrali del Paese e come l’incuria ne stia attaccando altre, facendo cadere pezzi di volta di chiese e di palazzi che non hanno l’uguale al mondo.

Un tale programma, mi ripeto, comporta costi eccezionali che possono essere finanziati anche con la logica del «deficit spending», dal quale discende la creazione di nuove imprese, maggiori impegni di lavoro e, perciò, occupazione. Il servizio del prestito può essere programmato nel suo onere e nei tempi di restituzione, facilitati dall’incremento della base imponibile per l’espansione delle attività.

Quanto al degrado culturale, questo può essere recuperato ridando alla scuola italiana quel primato di formazione, confermato dal premio nobel Levi Montalcini, che l’impostazione scolastica di tipo anglosassone, peraltro da noi copiata male, non garantisce. Anche qui il gap è pluridecennale ed il recupero passa per piani che non possono essere solo quelli della stabilizzazione dei precari.

L’aspetto morale lo collegherei al sociale, perché l’abbandono del rispetto per l’altro, per la collettività è il sintomo più evidente del degrado morale. Qui il recupero è antropologico, deve nascere nelle famiglie, che debbono essere indotte ad educare al «bonum honestum», e cioè al perfetto contrario dello “sgomitare per farsi largo”, dal quale emerge, poi, il bullismo, prima, l’arrampicata sociale, poi e, meno male che è più raro, il crimine.

Se, a conclusione di queste riflessioni, mi domando: ma c’è speranza per il futuro? Da cattolico dico che la fede non deve abbandonarci e, quindi, dobbiamo credere in una catarsi che cambi le prospettive, ma pragmaticamente la vedo dura.

Claudio Bianchi