(60) Segue: Le prospettive…

04.05.2021

Sono sempre più colpito da quello che sento e vedo: “andiamo bene; siamo ancora in pieno rischio; riaprire le attività per salvare l’economia; l’Italia dei colori”; ecc.

Io sono un aziendalista, quindi ho i piedi ben piantati in terra, peraltro ho fatto anche le due dosi del vaccino Pfizer ed attendo di sapere se ho maturato anticorpi.

In tale contesto, oggettivo e soggettivo, ascolto il Presidente del Consiglio che, con piglio ben fermo, espone al Parlamento le modalità di acquisizione e di impiego del «Recovery Fund».

Con grande gioia mi sembra di aver capito che c’è un importo dei predetti fondi destinato al recupero del disastro idrogeologico.

Chi mi segue, sa quanto ho sempre insistito su tale argomento e può comprendere, perciò, la mia soddisfazione. In verità, il recupero è solo un aspetto contingente rispetto a quanto ho auspicato da sempre, e cioè la sistemazione integrale del nostro territorio, che non può prescindere da puntuali interventi, compresi quelli antisismici, non rinviabili se si vuole salvaguardare la nostra autentica ricchezza nazionale, e cioè il patrimonio naturale e culturale che natura ed artisti geniali ci hanno donato.

Non so se per l’utilizzo dei fondi in questione sia previsto un piano, mi pare di capire che ciascuna forza politica tiri dalla propria parte la giacchetta del dispensatore. Se è così, mi viene da riproporre il mio “leit motiv”, vale a dire l’esigenza di un autentico programma in chiave aziendalistica, il quale appare ora ineluttabile considerando il pesante gravame dei debiti che dovremo affrontare.

Il piano deve, perciò, indicare il recupero delle risorse, attraverso l’incremento del lavoro, dei profitti e, quindi, delle contribuzioni per il pubblico. Sulla struttura del programma non voglio ripetermi, limitandomi, per chi ne avesse la curiosità, a ricordare quanto ho scritto nelle considerazioni n. 7 del 17 gennaio 2013, la n. 13 dell’8 aprile 2014 e la n. 32 del 12 giugno 2018.

La lettura ed i pensamenti mi hanno indotto a soffermarmi su quanto sostiene con grande piglio la giovane, determinatissima, Greta Thunberg in ordine alla condanna degli avvelenatori del clima. Ha ragione in una visione attuale della situazione, ma, forse, occorrerebbe soffermarsi sulle ragioni del progresso per verificare le cause delle attuali negatività. Infatti, è innegabile che oggi la vita media si sia molto allungata, che le condizioni di vita siano in generale estremamente migliorate, come è vero che questo progresso ha scontato i costi sociali che la Thunberg oggi stigmatizza. Mi sono ricordato di aver affrontato questo tema tanti anni fa, trattando il concetto di produzione in senso economico. Infatti, ho trovato un mio scritto del 1993 dove esprimevo queste considerazioni: «il progresso socio-economico del genere umano è in qualche modo l’effetto dell’evoluzione dei bisogni dell’uomo, evoluzione che è, a sua volta, spinta da quella che potremo definire l’interpretazione corrente del concetto di progresso… l’attenzione attuale al problema ecologico, nelle sue diverse manifestazioni, è una dimostrazione della continua evoluzione dei bisogni umani. Tale problema, infatti, nasce dalle modalità con le quali sono stati fronteggiati bisogni precedenti: l’industrializzazione senza rispetto del territorio; l’agricoltura forzando le condizioni eco-ambientali; la caccia non rispettando le caratteristiche fisiologiche delle specie; la pesca ignorando le condizioni per la riproduzione… ». Per di più oggi possiamo riferirci anche alla criminalità, organizzata e non, che sfrutta le situazioni ambientali a proprio lucro, dando una mano ad una pessima imprenditorialità.

Ne consegue che per trovare una soluzione al degrado attuale, occorre trovare le modalità per riparare agli errori del passato, evitandone la ripetizione nonché, come si direbbe in termini gergali di gettare «l’acqua sporca con tutto il bambino»: le acciaierie di Taranto sono in tal senso un esempio e, nel contempo, un banco di prova.

Il tema del clima, che impegna in particolare la Thunberg, dovrebbe essere affrontato con il medesimo criterio, e cioè riavvolgendo il film di quanto svolto per trovare subito rimedi agli errori o per lo meno attenuazioni dei loro effetti prima dei fatidici accordi mondiali che prevedono soluzioni al 2030.

Mi rendo conto di poter essere ancora accusato di utopia, ma non mi offendo, conscio che da tale circostanza possano nascere le soluzioni più ardite ed efficaci. Del resto lo stesso Presidente del Consiglio, con riferimento all’impiego dei fondi rivenienti dal “Recovery Fund”, prevedeva la primavera per il “Bel Paese” in termini economico, sociali, sanitari.

La sua non è espressione utopica, ma convincimento di chi ha una visione a trecentosessanta gradi e crede nel vecchio adagio «italiani brava gente».

Tra non molto conosceremo l’epilogo di questa complessa situazione, che allo stato, lo ripeto, appare gestita senza un piano organico, al di là di quanto richiede l’Europa.

Claudio Bianchi