(11) Segue: Le prospettive…

 Cortesi lettori, ammesso che ce ne siano ancora oltre agli amici che per affetto mi sopportano, vorrei riprendere il discorso interrotto a luglio sospinto, come sempre, dalla voglia di capire ed in questo chiedo il Vostro aiuto.

 

 

Il Governo, più o meno traballante rispetto alle fibrillazioni delle forze che lo sostengono, seguita ad incastrarsi sulle solite questioni:

aumento dell’IVA; IMU sulla prima casa; cuneo fiscale.

Il “busillis” è la copertura finanziaria, specie in prossimità dell’approvazione di quella che ora si chiama legge di stabilità.

Ragionando all’interno della neutralità dei conti di bilancio, si sta in un cerchio con una coperta troppo piccola per coprire tutti gli spazi. È giusto, quindi, che, nella logica indicata, il Ministro dell’Economia dica che se non aumenta ora, ad ottobre, l’IVA di un punto ha una scopertura sui conti e, non potendo sopportarla, minaccia le dimissioni.

Le considerazioni sono analoghe per la seconda rata IMU sulla prima casa e sulla forte richiesta imprenditoriale di risolvere il cosiddetto cuneo fiscale.

Su tali argomenti si deciderà a breve la sorte dell’Esecutivo, in un clima elettorale di incertezza, indipendentemente dalle ipotesi di modifica dell’attuale legge elettorale, che, forse, a più di qualcuno non dispiace, giacché ha consentito, comunque, un successo oltre ai voti dell’urna.

Se tale previsione fosse corretta dovremmo pensare agli Italiani ulteriormente impoveriti e delusi dall’assenza di prospettive.

Quest’ultimo aspetto è particolarmente pericoloso ma ha fondamento, se lo si raccorda ai rischi di perdita del posto di lavoro per ulteriori chiusure di imprese.

Il caso ILVA è lì a dar grande visibilità al rischio di cui sopra, ma non è il solo, né può tranquillizzare lo spot dell’Amministratore Delegato di FIAT che l’Alfa Romeo seguiterà ad essere prodotta in Italia.

L’ILVA richiama alla mia mente tante esperienze professionali e di studio, sul tema delle privatizzazioni, che il Governo, se sopravvivesse, avrebbe in animo di realizzare per far rientrare nei limiti dimensionali necessari a mantenere il rapporto debito/PIL nella misura virtuosa secondo l’U.E., tamponando l’emorragia di risorse connessa alle sospensioni dell’aumento dell’IVA e dell’incasso dell’IMU sulla prima casa.

La mia domanda, e so che mi ripeto, è se tale tipo di conduzione dell’economia del Paese, rechi agli obiettivi sbandierati:

uscita dalla recessione; aumento della produzione; recupero ed accrescimento dell’occupazione.

La mia risposta, e so che anche in questo caso mi ripeto, è no, perché anche l’osservazione degli accadimenti degli ultimi due anni confermano che se si tiene il freno tirato non si va avanti.

Il peggio, però, è che non volendo venire meno a promesse elettorali si tenterà di non agire sul contingente, IVA-IMU, ma ciò comporterà a breve una manovra ponderosa di drenaggio dei mezzi dei cittadini, con un impatto peggiore del paventato aumento dell’IVA o del ritorno all’IMU sulla prima casa.

Qualcuno mi potrebbe dire che c’è sempre la carta delle privatizzazioni e che io sbaglio nello stigmatizzare la stessa dipingendola negativamente.

Accetto il confronto ritornando emblematicamente sul caso ILVA.

La tanto vituperata holding pubblica aveva creato e mantenuto, pur nella crisi di mercato dell’acciaio degli anni ’80, un’industria siderurgica da fiore all’occhiello. Ebbene la stessa è stata venduta ed i gestori privati che hanno fatto? Guadagnato, non investito.

La crisi dell’ILVA che, oltre a quella alla città di Taranto tiene desta l’attenzione del Paese, deriva, sì dal contingente shockante intervento della Magistratura, ma strutturalmente dall’assenza di investimenti con necessità di ricaduta sul sociale ambientale che l’egoismo imprenditoriale privato non ha ritenuto una propria priorità.

Il dramma, in prospettiva, sarà che la collettività verrà inevitabilmente chiamata a contribuire, attraverso nuovi balzelli, a riparare quanto distrutto dalla disattenzione imprenditoriale focalizzata solo sul profitto, per salvare i redditi degli occupati e, se possibile, l’impresa ed il territorio.

Ecco un virtuoso esempio di privatizzazione italiana.

Potrei continuare, ma non ne ho voglia anche per contenere l’accusa di essere un retrogrado statalista.

Preferisco tornare su di un’altra angolatura del tema recessione, quella che vede la via di uscita attraverso un programma di ben mirati investimenti, rispetto al mercato globale e, quindi, in grado di creare impresa ed occupazione.

Quest’ultima non cresce con palliativi sulla contrazione del costo del lavoro per l’imprenditore, è una strada già percorsa senza successo, come dimostra l’aumento della disoccupazione.

È anche vero che il fenomeno lavoro merita attenzione istituzionale dal lato della formazione, che ha perso nel nostro Paese la sua peculiarità culturale, per inseguire modelli che hanno illuso i giovani di sapere, rendendoli spesso indisponibili ad esperienze giudicate da loro al di sotto del proprio titolo di studio, in vero non maturato attraverso la “fatica per sapere”.

E allora? Immagino sia la domanda che si pone con irritazione chi ha letto queste righe e, forse, le puntate precedenti.

La risposta è semplice e complessa nello stesso tempo. Complessa o meglio uniformata al credo governativo imperante di cui ho riferito, e cioè: nessun aumento del debito, tenuta del deficit, che malgrado tutto non tiene come dimostrano i conti più recenti, perimetro chiuso ed invalicabile.

In altre parole nessuna apertura e lo spettro di una nuova manovra con ulteriori gravami sulla gente italica.

La via alternativa, a mio parere, forse non semplice nell’attuazione, ma sicuramente più diretta al cuore del vero problema, la ripresa, è valutare bene delineati settori produttivi, investire negli stessi, creando nuova imprenditoria e nuova occupazione.

È una strada che fa storcere il naso ai nostri controllori europei, ma sta alla capacità di chi governa l’economia nazionale di predisporre piani convincenti per i tecnocrati europei. Occorre, in quale modo ritrovare lo spirito con cui si sostenne l’avventura dell’AGIP, dando inizio a quel «miracolo economico» poi additato come esempio se non da tutti certamente da tantissimi.

Lo scoglio è che un siffatto piano va finanziato con ricorso al credito e, quindi, con incremento del debito pubblico e correlati interessi. La liquidità per sottoscrivere il citato debito esiste: è la capacità mediatrice di dire qualche cosa di nuovo, di coraggioso su di una prospettiva di crescita vera a medio termine che manca.

Cercherò di sintetizzare il mio pensiero nell’esempio numerico che segue:

  1. investimento pari a 100;

  2. finanziamento totale a debito, con costo al 4% annuo per 5 anni;

  3. effetto positivo dell’intervento a partire dal terzo anno, con accrescimento delle entrate tributarie sul reddito delle nuove imprese e su quello della nuova occupazione, pari al 20% della connessa base imponibile di 200.

 

 

T0

T1

T2

T3

T4

T5

T6

Δ debito

100

 

 

 

 

 

 

Δ oneri finanziari

 

4

4

4

4

4

 

Δ entrate tributarie

 

 

 

40

40

40

40

 

 

(4)

(4)

36

36

36

40

Debito

100

100

100

70

40

10

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Variazioni finanziarie

(100)

(104)

(104)

(34)

(4)

26

40

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’esposizione che precede dimostra che una ben definita politica di investimenti, può servire, anzi è l’unica che serve, a rimuovere la recessione ed avviare la ripresa generando risorse. Il debito sottoscritto ad hoc si estingue nei cinque anni con le risorse sviluppate, che hanno innescato il ciclo virtuoso di keynesiana memoria il quale libera risorse per nuovo fiato all’economia già a partire dal quinto anno.

Io ribadisco che, a parte la rozzezza dell’esempio, se si vuole la svolta occorre pianificare con coraggio, evitando le ovvietà presenti nel documento triennale del Governo per dare, invece, un quadro chiaro e non edulcorato della situazione, spiegando che le manovre restrittive sono sostituite da manovre di stimolo, i cui benefici non possono essere, però, immediati, né indiscriminati per tutti.

Questo non è un discorso utile per essere eletto, ma è il linguaggio della verità e confido che la gran parte degli Italiani lo saprebbe apprezzare.

Ho appena messo il punto che precede, quando guardo un quotidiano di oggi 22 settembre 2013, che titola in prima pagina “Ecco la manovra da 6 miliardi”.

Il Governo traballante vuole rimanere nella gabbia del deficit al 3% e, quindi, si appresta a varare, ma non so se farà in tempo, l’ennesima manovra restrittiva, che costituisce il collante della politica economica almeno degli ultimi due Esecutivi. Non credo di dover aggiungere altro rispetto a quanto ho detto prima di quest’ultima chiosa, se non ricordare che, sempre oggi, il Papa ha detto che «senza lavoro non c’è dignità» e, mi permetto di osservare, il lavoro non si crea se non attraverso una selettiva azione di adeguati investimenti, che solo chi governa l’economia di un Paese può intraprendere.

Claudio Bianchi