(72) Segue: Le prospettive…

24.10.2022

Leggo con piacere le condanne della deportazione del ghetto di Roma di settantanove anni or sono, soprattutto quando provengono da ex militanti di formazioni ispirate ad ideologie vicine a quella vergogna dell’umanità. È bello che i fremiti maggiori del disgusto emergano da chi, avendo vinto le elezioni politiche, si accinge a governare il Paese.

Qualche inciampo concettuale mi viene dalla difficoltà di comprendere perché l’abiura viene nella ricorrenza del settantanovesimo e non si è espressa negli anni precedenti. Il Papa quando ha ritenuto di chiedere perdono per qualche infortunio della Chiesa non lo ha fatto attendendo i riflettori, ma nel silenzio di chi avverte il bisogno di denunciare il peccato.

Il tema mi ha preso, pur essendo al di fuori della mia specifica area di competenza, così voglio provare a ripercorrere le tappe che hanno indotto coloro che avevano od hanno cromosomi fascisti a cambiare, almeno l’aspetto esteriore del loro dire e fare. Al riguardo, la memoria mi ha fatto subito pensare alle iniziative del Cav. Berlusconi, che si è spinto fin a nominare alla terza carica del Paese un segretario del Movimento sociale. Questi è rimasto nell’alveo berlusconiano, finché il richiamo del fascino femminile non l’ha indotto a mutare ideologia e, quindi, ad essere rapidamente allontanato da tutti. Questi sono, comunque, fatti più recenti rispetto alla genesi dello sviluppo ideologico del Cavaliere.  Vengo, così, a quando Egli ha cercato il successo imprenditoriale attraverso il mattone. Ciò è avvenuto con l’ideazione di Milano 2 negli anni 70 che gli ha comportato il riconoscimento di Cavaliere del Lavoro e, soprattutto, di gettare le basi del suo futuro impero televisivo. Questo fu favorito dai decreti craxiani del 1984/85 e dalla successiva Legge Mammì del 1990, aspetti che contribuirono a concretizzare il sodalizio con Craxi (pace all’anima sua).

Qui mi sono domandato: ma quando muore il socialismo, piuttosto radicato nella logica laica degli italiani, che la apprezzano senza rinnegare le origini cristiane.

Ho trovato che il punto di non ritorno è il 1976 quando al Midas viene travolto il prof. De Martino e con lui l’ideologia socialista per così dire all’italiana.

Nasce un partito nuovo, basato sul successo elettorale con un non so che di commerciale dal sapore nord americano. Craxi ne è il segretario a partire dal congresso di Torino del 1978, e la trasformazione trova conferma anche nel mutamento del simbolo: via il libro e la falce e martello per far posto al garofano rosso.

Da qui la perdita di identità ideologico-culturale dei partiti sviluppatasi dopo la guerra e, quindi, il capolino di quelli di ispirazione fascista, che poi esplode, come detto, con il primo governo Berlusconi.

Non riesco a sottrarmi al mio DNA di aziendalista avvertendo l’esigenza di considerare qualche riflesso economico proprio di quegli anni.

La gestione craxiana apre alla crescita economica sospinta dall’indifferenza per le transazioni in nero, che accrescono anche statisticamente il ranking italiano e, soprattutto, fanno felici i commercianti che vedono moltiplicarsi i loro introiti. Questo tipo di “bengodi” si affievolisce mano a mano che viene meno la stella craxiana, ormai bersaglio della magistratura.

Ciò che viene dopo è un ritorno democristiano con un leader non molto differente da Craxi quanto ad obiettivi e governo del Paese. Non mi dilungo oltre, anche perché si giunge così alla conclusione della cosiddetta prima repubblica.

Veniamo ad oggi, dopo le votazioni del 2022, che hanno comportato la nomina di un governo di destra presieduto da una signora, la quale ha già provveduto all’abiura del suo passato, volendo accreditarsi all’Italia ed al Mondo come democratica disposta ad interloquire con tutti gli esponenti del credo occidentale: Nato, Ucraina e quant’altro.

Non ci resta che aspettare e, se crediamo, pregare perché il futuro sia migliore del presente.

Claudio Bianchi