(15) Segue: Le prospettive…

Cari lettori (se ancora ci siete!) buon 2015.

 

L’augurio viene spontaneo, tenendo presente l’anno che si è chiuso in un gelo climatico particolarmente idoneo ad interpretare la situazione morale, economica e sociale che il 2014 ci ha lasciato.

È tanto tempo che non mi dedico più a queste mie riflessioni, meritando i rimbrotti che a tal proposito mi sono stati rivolti, ma, a parte gli impegni personali, ho avuto bisogno di tempo per metabolizzare i vari aspetti che coglievo, e colgo tuttora, dalle informazioni passate dai media in ordine allo stato ed alle prospettive economiche e sociali del Nostro Paese.

Provo a fare un inventario di dette informazioni.

Il Governo, per bocca del Presidente del Consiglio dei Ministri, rassicura tutti, perché anche quando qualche provvedimento proposto non passa alla Camera o in qualche Commissione, è un incidente creato da chi non comprende la grande opera riformatrice di questo Governo.

Purtroppo, io sono uno di quelli che non comprendono, in quanto:

a)      la soppressione delle Province è stata una formalità senza effetti sul volume della spesa pubblica e senza alcuna funzionalità produttiva utile al cittadino;

b)      il jobs act è ancora qualche cosa di nebuloso, il cui effetto sull’occupazione non si può già vedere, ma dubito si vedrà;

c)      la riforma fiscale è nel cassetto del Presidente del Consiglio che la farà varare quanto riterrà opportuno, poiché si è accorto che alcuni aspetti potrebbero agevolare le posizioni penali dell’ex Cavaliere Berlusconi;

d)     la riforma elettorale è sempre al palo, chiamata in causa da maggioranza (?!) ed opposizioni (?!) secondo logiche di veti e ricatti. A me piacerebbe che in un’eventuale legge elettorale fosse scritto l’obbligo, per chi è eletto in un partito o in una coalizione, di lasciare il Parlamento se, non condividendo più le idee del partito o della coalizione con il quale si è presentato agli elettori, vuole cambiare. Cioè una volta per tutte l’eletto deve rendersi conto che lo è stato perché ritenuto espressione di una certa idea e non perché era “Lui”. Naturalmente l’uscita non può dar luogo alla chiamata del primo non eletto di quel partito o di quella lista, ci sarà uno, dieci, cento parlamentari in meno fino, se sono tanti, a tornare alle urne;

e)      la riforma della «Burocrazia» alimenta solo uno sterile dibattito in ordine alla riduzione degli stipendi ai dipendenti pubblici ed all’estensione al pubblico impiego dei principi di licenziabilità che il citato “jobs act” fissa per i dipendenti privati, aspetto che potrebbe essere condiviso in linea di principio se fossero armonizzate anche le retribuzioni dei due comparti.

Non so perché, ma il balletto di dichiarazioni mi fa venire in mente il film «gli intoccabili», che ho rivisto qualche giorno fa in televisione, e, più propriamente, l’urlo: “sei tutte chiacchiere e distintivo!”

Al contesto dichiarativo del Presidente del Consiglio, anche al vertice del semestre di Presidenza europea, fanno eco gli ordini di provvedere alle riforme, come viatico al salvataggio dei conti, ripetuti quasi quotidianamente da questo o da quel VIP delle strutture di comando economico e finanziario della UE.

Faccio solo un breve inciso per ribadire il mio convincimento che le riforme sono utili se obiettivamente inserite in un piano mirato, nel caso di specie, a far uscire il Paese dalla morsa recessiva che, ad onta delle dichiarazioni ottimistiche, non lo molla.

Mi accorgo che nell’elenco che precede non ho specificatamente inserito, se non per un aspetto già fallito, la riforma costituzionale, i cui contenuti, oltre alla confusa abolizione/trasformazione del Senato, non mi sono chiari e che, comunque, mi fanno tremare pensando ai Padri della Nostra Costituzione Repubblicana ed agli attuali pronipoti che vorrebbero metterci mano, senza valutare contesti storici e rischi prospettici di ricadere nello sprofondo, dal quale siamo usciti proprio dandoci l’attuale Carta costituzionale.

L’attualità di dicembre 2014 e di questa prima decade di gennaio 2015 è legata alle dimissioni del Presidente della Repubblica, annunciate ufficialmente nel discorso di fine anno e, poi, formalizzate il 14 gennaio dopo la conclusione del semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea.

Mi fa un po’ specie che il Presidente Napolitano sia indicato, anche sulla stampa, come Re Giorgio, ma non è un insulto chiamare Re il Presidente di una Repubblica ?!  Non vorrei che il titolo fosse riferito al potere esercitato nel nominare tre capi di Governo, e cioè Monti, Letta e Renzi, al di fuori di designazioni parlamentari: chissà!

Tutto questo agitarsi, in particolare per la cattedra presidenziale, non so a cosa possa portare in concreto rispetto ai problemi socio-economici del Paese.

Al riguardo non mi sembra che si profili l’uomo o la donna nuovi e, allora, siamo di fronte al solito giuoco degli accordi partitici, ammesso che quelli in circolazione possano essere ancora qualificati partiti.

Insomma di tutti i miei auspici si intravede solo, e non per merito principale del nostro Governo, l’allentamento dei vincoli di bilancio per gli investimenti strutturali. Il problema, per quello che riguarda l’Italia, è che la genetica idiosincrasia del Paese nei riguardi della programmazione impedisce la creazione di un vero piano, nel senso da me indicato talune riflessioni fa’, rimanendo tutto nel vago come è tipico del documento nostrano di programmazione economica.

Questa affermazione appare surreale rispetto alla voce ufficiale del Governo, che declama:

“abbiamo deciso”, “stiamo facendo”, “cambieremo l’Italia” e su quest’ultimo aspetto la mia condivisione è totale, solo che sulla qualità del cambiamento la mia visione è pessimistica.

Per chiarire tale indicazione, citerò il caso della scuola. Il Presidente del Consiglio ha affermato che questa volta il cambiamento non nasce da una scelta della politica, ma dalla gente. Ovviamente si riferisce al questionario on-line ed alle risposte, che ignoro, ricevute. Apprendo che il nuovo insegnante dovrà conoscere l’inglese e padroneggiare il web, tanto di cappello, ma se insegna italiano o matematica o quant’altro dovrà conoscere prima di tutto la propria materia e dovrà avere una capacità didattica adeguata, magari ispirata alle indicazioni di Don Milani o della Tincani.

Perché non ammettere che il degrado della scuola è funzione, soprattutto, della qualità di tutti quegli insegnanti, precari e no, che hanno fatto la scelta di tale professione per comodità piuttosto che per convinzione sull’impegno che la stessa comporta. Questo non è lo sfogo di un vecchio professore che guarda al passato, non l’ho mai fatto, ma il convincimento di una persona che in quel mestiere ha creduto e facendolo non si è mai sottratto né agli impegni, né ai giudizi, osservando con attenzione quanto negli anni è accaduto nel bene e nel male.

La smetto su questo versante per non farmi prendere la mano ed annoiare chi ha ancora il coraggio di leggermi. Voglio, però, rimanere sul soggettivo confessandoVi che, raccogliendo le esortazioni di alcuni di Voi a cercare sponde sperimentate nel versante politico per dare contezza al progetto che configuro da tempo in queste mie considerazioni e rendere efficace il richiamo al «non partito di maggioranza», ormai non più “relativa” dopo le recenti elezioni amministrative, ho preso un contatto con chi mi pareva avanzasse proposte compatibili con le mie.

Purtroppo, però, pur constatando spesso volontà ed impegno anche in termini fattuali, non ho trovato riscontro alla mia idea che occorre dare una scossa forte per recuperare la situazione del Paese.

È necessario, al riguardo, immaginare una concreta provocazione basata su soluzioni di effettivo contrasto alle cause dei mali nazionali e, per far questo, credo indispensabile una mobilitazione basata sugli obiettivi da conseguire, proponendo una precisa linea programmatica da realizzare per raggiungere quelle finalità, non nascondendo né tempi, né modi, né mezzi, né sacrifici per conseguirli.

Se questa idea è condivisibile occorre un efficace “passa parola”, basato su di una documentazione essenziale, onde verificare la reazione dei membri di quel «non partito» al quale faccio costante riferimento.

Occorre, in qualche modo, contarci per verificare se si crede nella possibilità di una via nuova o se si preferisce continuare a lagnarsi, pur favorendo il mantenimento delle rappresentanze parlamentari in essere.

Ancora una riflessione di palpante attualità a seguito delle dimissioni del Presidente della Repubblica:

il Presidente del Senato ha assunto la reggenza; il Presidente della Camera ha convocato i Grandi elettori per il 29 gennaio p.v..

Tutto questo ci obbliga a riflettere che il nuovo Presidente della Repubblica Italiana, magari degnissimo, verrà eletto da un Parlamento nominato con una legge elettorale sulla quale ha fatto debiti rilievi la Consulta, nonché sulla circostanza che nella tornata elettorale che ha nominato il nuovo Parlamento è stato pesante il non voto e che molti votanti si sono indirizzati su di un movimento protestatario per mera reazione e, quindi, senza convinzione alcuna.

A me il contesto descritto appare sconfortante ed i nomi che alimentano le indiscrezioni sul nuovo Presidente della Repubblica ne sono una inevitabile conseguenza.

Le prospettive della legislatura sono strettamente connesse agli interessi della Classe di Governo, cosicché immaginare una soluzione tattica in sintonia con la strategia da me auspicata appare, allo stato, praticamente impossibile.

Mi fermo qui, anche se con fatica rispetto alla tante argomentazioni che vorrei proporre, ma mi farebbe piacere ascoltare la vostra opinione, per perfezionare, eventualmente, la proposta da sottoporre ad amici e conoscenti.

Claudio Bianchi