IL DDL CAPITALI

Il Ddl Capitali nasce dall’esigenza cogente di rimozione degli ostacoli che continuano a frenare l’attrattività del mercato dei capitali italiano, arrivato a perdere negli ultimi dieci anni una capitalizzazione potenziale di circa 55 miliardi di euro. In particolare, nel 2022, si sono registrati molti delisting eccellenti, per tacere di quelli non riusciti; ciò ha comportato l’esigenza di un intervento strutturato sul tema generale dell’accesso al mercato borsistico.

Il testo, che dovrà percorrere l’iter parlamentare per diventare legge, rappresenta “una riforma organica volta a incentivare la quotazione delle società e diffondere l’azionariato della Borsa italiana, anche al fine di sostenere le imprese che puntano a crescere e ad aumentare la propria competitività mediante il ricorso al mercato dei capitali”, come si legge nel comunicato dell’esecutivo.

Gli obiettivi consistono nel facilitare le procedure per la quotazione in Borsa e consentire una circolazione più snella delle quote: in tal modo si aiutano le imprese, specialmente le Pmi.

Il provvedimento segue quello del “Libro Verde”, ossia il documento voluto dal MEF, lo scorso anno, dopo le audizioni di tutti gli operatori dei mercati finanziari, soprattutto Borsa Italiana e Consob, per tentare di arginare il fenomeno della fuga di molte società dai mercati regolamentati.

In Italia, gran parte delle imprese sono diffidenti circa la quotazione in Borsa, poiché spaventate dalla complessità giuridica e dall’ingresso di una pluralità di azionisti. Tuttavia, ciò causa la perdita di accesso ai capitali e di opportunità di finanziamento, dunque opportunità significative di crescita e competitività.

Il DdL propone rilevanti modifiche alla disciplina societaria attuale, intervenendo sulle norme del Testo Unico della Finanza (dlgs 58/1998), del Decreto Legge Crescita 2.0 (DL 179/2012), del Codice Civile e incidendo sulle operazioni di IPO (Initial Public Offering), necessarie quando un’azienda decide di collocare le proprie azioni su un mercato regolamentato.

Il decreto è composto da 4 capi e 22 articoli. Oltre a semplificare le procedure di ammissione alla fase di negoziazione, riduce gli oneri a carico delle aziende che vogliono quotarsi e, in tema di redazione del bilancio, è prevista la facoltà, per le società aventi azioni su sistemi multilaterali di negoziazione, di adottare i principi contabili internazionali. L’effetto potrebbe essere distorsivo, ma, in verità, potrebbe consentire una maggiore confrontabilità tra le informazioni finanziarie e contabili delle imprese italiane (incluse le PMI) e quelle delle quotate estere, anche di più grande dimensione.

Si estende la classificazione delle PMI emittenti quote azionarie, innalzando la capitalizzazione (market cap) massima da 500 milioni a un miliardo di euro: il governo desidera garantire a una gamma più ampia di aziende di beneficiare degli incentivi già previsti, ad oggi, per le piccole e medie imprese che intendono quotarsi.  Vi sarà, per giunta, un numero di azioni in circolazione sul mercato maggiore per tali società. Le azioni small-cap (a capitalizzazione più bassa) tendono ad avere un potenziale di crescita significativo a spese di un rischio più elevato. Ciò avviene perché queste aziende sono in genere più giovani e i loro modelli di business non sono ancora consolidati. L’espansione del loro market cap può rassicurare gli investitori, agevolando l’ingresso di nuovi capitali nelle PMI, dal momento che renderebbe tali imprese più prossime a quelle a media capitalizzazione, considerate più solide e caratterizzate da prezzi azionari meno fluttuanti.

Il Ddl Capitali novella la disciplina delle assemblee delle società quotate, prevedendo che l’intervento e l’esercizio del voto possa avvenire mediante il rappresentante designato, per semplificare e assicurare l’espressione del diritto di voto della più vasta compagine sociale; in più, modifica l’esercizio del diritto di voto plurimo, che passa da tre voti a dieci voti per ogni azione posseduta (per le non quotate). Quest’ultima misura prevede di rafforzare i diritti di voto per convincere gli imprenditori a quotare le loro aziende, senza preoccuparsi di perdere il controllo a favore di altri investitori, perché, dopo un’offerta pubblica iniziale (IPO), manterrebbero tale diritto. Alcune delle società che si sono “ritirate” dalla Borsa di Milano, vedasi la “Exor”, sono state attratte da piazze come Amsterdam, dove la normativa consente agli azionisti di riferimento di mantenere un controllo più stretto sulle aziende. Il Tesoro ritiene che il rafforzamento della eventualità di emettere azioni a voto plurimo, prima della quotazione, sia un buon compromesso per gli imprenditori o azionisti nazionali, perché chiunque investa nella società saprebbe in anticipo che dopo l’Ipo condividerà la proprietà con azionisti più forti.

Per di più, si accresce la possibilità di accedere allo strumento “Patrimonio rilancio”, costituito da Cassa Depositi e Prestiti, includendo le società nate da fusioni o scissioni, con bilanci certificati e le imprese che non abbiano subito sanzioni o sentenze di condanna. Variano, in aggiunta, le regole del flottante, cioè le azioni che possono essere emesse da una società quotata e che gli investitori commerciano nel mercato secondario.

Aspetto cardinale è quello della dematerializzazione delle quote societarie: anche le Srl potranno dematerializzarle; la circolazione delle quote potrà avvenire senza costi.

Viene concessa la qualifica di investitore professionale altresì agli enti previdenziali privati e privatizzati, al fine di stimolare gli investimenti da parte di investitori istituzionali.

Nel Capo III, infine, si introduce, per la prima volta in Italia, l’educazione finanziaria, che a partire dal prossimo anno scolastico dovrebbe, d’intesa con il Ministero dell’Istruzione e del Merito, entrare a far parte del piano di studi superiori.